Le metro invisibili
Con Mico Argirò e Gregory Fusaro
Considerando l’ovvio richiamo del titolo a un’opera miliare della letteratura italiana si potrebbe essere tentati, per cautela, di partire da una definizione al negativo, un avvertimento su cosa non aspettarsi da questo libro, ma sarebbe un po’ vigliacco e lascerebbe la sensazione di descrivere un’ombra parlando degli oggetti che la proiettano. Eppure da questa tentazione possiamo dedurre una prima timida affermazione: il libro non si lascia etichettare senza colpo ferire. Innanzitutto per l’originalità grafica della “Scrittura Stereo” che, distaccando visivamente citazioni, ricordi o input sensoriali, li mette in evidenza, lasciando però al centro la narrazione principale: è il lettore a decidere quanto spazio dare alle marginalità dell’ambiente e del pensiero, esattamente come nella vita reale. Ma anche il genere non è immediato: è un romanzo sperimentale? Formativo? Un libro di viaggio? Tutte queste cose, ma alcune più di altre. Di certo ha un’anima formativa, se si guarda all’arrivo a Lampugnano dell’ennesimo ragazzo di belle speranze e l’evoluzione della sua fiducia e consapevolezza nel corso dei capitoli; ma questa è una considerazione a posteriori, che forse ci sentiamo obbligati a fare per rincuorarci “d’aver capito” il senso, lo scopo, il messaggio del libro. Durante la lettura, quando i personaggi, le strade, le piazze e il meccanismo alienante della baraonda milanese prendono vita davanti a noi, ciò che sentiamo d’istinto ne “Le Metro Invisibili” è il senso del viaggio. Tanti viaggi in realtà perché, pur tenendo una chiara linea narrativa, la scrittura non si fa scrupolo a confondersi tra ricordi, descrizioni, dialoghi, simbolismi o azioni, in un turbinio morboso di spostamenti sotterranei a cui il protagonista non può sottrarsi, come una condanna. Si sarebbe tentati di indugiare su alcune scene alle quali ci siamo affezionati, ma non si può: il lettore è costretto a scendere nuovamente le scale e infilarsi in un vagone sovraffollato, sino alla prossima stazione. E dopo qualche fermata ci accorgiamo che non è solo lo scenario a cambiare: nemmeno il protagonista è lo stesso. O meglio, pur trattandosi sempre dello stesso individuo, le sue sfaccettature attraverso i capitoli, o fermate, ne riflettono la frammentazione psicologica, il dubbio identitario, le prese di coscienza che necessitano di gestazioni tanto lunghe da far sospettare che la metro non viaggi avanti e indietro solo nello spazio. Grazie a questa natura proteiforme il realismo urbano e l’afflato fantastico possono fondersi armoniosamente per dar vita a scene irripetibili, come i sognanti dialoghi con i maestri del passato, i contatti con l’oltretomba che osano atmosfere circensi come scenografia di incontri commoventi e surreali, le aspirazioni incontrollate che s’involano tra le guglie del duomo insieme al protagonista, e tanto altro ancora. Non c’è che da infilarsi in Metro, e lasciarsi portare. Mico Argirò è un essere umano. Come cantautore pubblica gli album “Tra le rose e il cielo” (2009), “Canzoni” (2010), “Vorrei che morissi d’arte” (2016) e “Irriverentə - Canzoni dagli anni 20” (2022) primo album stampato su preservativi e primo album in Italia con la schwa nel titolo. Compone musiche per il teatro e cortometraggi, nel 2020 è tra gli artisti italiani del progetto “MIT - Music Industry Talks” dell’Istituto Italiano di cultura di Dakar. Insegna e si occupa di articoli scientifici di letteratura. “Le metro invisibili” è il suo primo libro: un’avventura contemporanea e mitologica tra le fermate della metro di Milano.