Diario di bordo BCM24

Domenica 17 novembre

17/11/2024

Poche cose al mondo mi fanno sorridere tanto quanto immergermi nella natura ed essere circondata da cani, perciò la mattina di oggi non poteva iniziare meglio: con una camminata alla Biblioteca degli Alberi di Milano per raggiungere Fondazione Riccardo Catella, sede del primo incontro della giornata. Poetry and the City, progetto portato avanti per far appassionare le persone alla poesia, quest’anno in linea con il tema di BookCity, muta in Poetry and the Peace. I poeti si sono dedicati alla lettura di componimenti che trattano infatti di guerra e di pace, con l’auspicio di poter parlare di quest’ultima sempre di più. Ancor prima della lettura condivisa delle poesie, il tutto è iniziato con un intervento molto potente di Cecilia Strada, europarlamentare che nella sua vita da attivista ha visto in prima persona gli orrori delle guerre, anche quelle che si vivono tutti i giorni. Perchè nel mondo in cui viviamo è purtroppo molto più facile parlare di guerra e innalzare muri nei confronti degli altri, piuttosto che ricercare una pace basata sull’equità e sul ri-avvicinamento delle persone, permettendo uno scambio e un progresso positivo, non costruito sulla paura e sull’allontanamento. Nicola Gardini inizia poi il reading con alcune poesie di Wilfred Owen, poeta che ha preso ispirazione da Keats e dai Romantici. I componimenti scelti appartengono per lo più alla sua produzione al fronte, in cui scrive della guerra in modo provocatorio, per protesta, disegnandone con le parole i tratti più bui. Vittorio Lingiardi procede poi affiancando le poesie di Nina Gheorghievna Turbina, scritte nella sua infanzia, dettate alla madre e alla nonna nei momenti di sconforto dati dalla malattia, e alcuni passi della Trilogia della città di K. Vivian Lamarque, invece, decide di leggere due poesie della poetessa polacca Wisława Szymborska che, più di tutte, mi hanno colpita. In Salmo è evocativa la rappresentazione del mondo naturale che sfida i confini e le frontiere (im)poste dall’uomo, mostrando quanto siano in realtà effimere: “Solo ciò che è umano può essere davvero straniero. / Il resto è bosco misto, lavorio di talpa e vento”. Infine, in La fine e l’inizio sono centrali le figure di chi tenta di rimettere insieme i cocci e i detriti causati dalla guerra, tanto quelli fisici quanto quelli interiori. L’interesse nei confronti di un luogo colpito dagli scontri pian piano si affievolisce, e con il passare degli anni “Tra l’erba che ha ricoperto / le cause e gli effetti / dev’esserci qualcuno disteso, / con una spiga tra i denti / perso a guardare le nuvole”.

Qualche via più in là, all’Anteo, Palazzo del Cinema, si è tenuta successivamente una conferenza dedicata al Cinema che si fa (anche) a Milano. Gianni Biondillo, Paolo Mereghetti, Marina Pierri e Matteo Pavesi, moderati da Alessandra Casella, ci hanno accompagnati attraverso aneddoti e riflessioni, nei meandri del percorso “accidentato” della produzione milanese, lontana da quella della capitale su molti aspetti. Il fine del libro da loro realizzato, insieme ad altri studiosi ed esperti, è infatti proprio quello di omaggiare il cinema di Milano che “non è solo il suo Duomo o la Stazione Centrale”. Come Paolo Mereghetti ha tenuto a specificare, il cinema è soprattutto gli spettatori e gli esercenti della città, che ancora si curano rispettivamente di cercare, proporre e insieme di mantenere la cultura cinematografica che caratterizza Milano. Il rapporto pubblico-cinema è essenziale, questa “umanità vera”, come la chiama l’autore, che ancora ricerca l’esperienza del Cinema, a prescindere dai risultati al botteghino o dai trailer.

La mia giornata si è conclusa infine al Centro di Nonviolenza Attiva, dove Daniela Annetta ha approfondito La visione dei Nativi americani per vivere in pace e in armonia. Sherri Mitchell è l’autrice che si interessa proprio di questi temi, e riporta la saggezza indigena nativa che le è stata tramandata nel suo libro Sacred Instructions: “una mappa per lo spirito” per riportarci al rispetto e alla considerazione del prossimo e del mondo. Come riporta Daniela Annetta, si ricerca l’unità e l’armonia con gli altri per strade non violente ma di ascolto, che oggi sono sempre più difficili da trovare. La cosa migliore che possiamo fare, scrive Mitchell, è “decolonizzarci”, rivolgendosi a visioni che sfidano anche in parte la considerazione ormai fissa del mondo in cui viviamo. È importantissimo continuare a costruire delle vere e proprie reti condivise, ricominciare a pensare creativamente che è possibile arrivare a delle soluzioni, come hanno fatto molti durante momenti collettivi, reading, conferenze, workshop ed eventi in questi giorni di manifestazione.

Alice Carrier-Ragazzi


“Che schifo”, questa è solo una delle costanti microaggressioni che vengono rivolte a un corpo trans che si muove nello spazio pubblico: alla fermata del tram, al panificio, al ristorante. Yole è perplessa, giustamente scioccata, ma risponde immediatamente “Ma come ti permetti!”, è con il suo compagno, stanno aspettando l’autobus; l’autobus arriva ma decidono di non prenderlo. Fa un pianto liberatorio e cambia fermata, non può non pensare a tutte le persone che giornalmente vivono questi attacchi senza riuscire a rispondere. Torna a casa e fa un video con cui condivide l’accaduto sui social. È solo una, l’ennesima aggressione che le è stata rivolta nel corso della sua vita di donna e di donna trans. Il dialogo tra FumettiBrutti (Yole Signorini) e Jonathan Bazzi a Base Milano, domenica 17 novembre, si apre con il racconto di quest’episodio accaduto qualche settimana fa. La sala è piena, non ci sono solo giovani ma, con mia sorpresa, donne e uomini più grandi e anche bambine e bambini. L’incontro è sul nuovo libro di FumettiBrutti Tutte le mie cose belle sono rifatte, un atteeso proseguimento della sua Trilogia esplicita. Tra i temi del libro è centrale quello del corpo e della chirurgia, vissuta come strumento prezioso per permettere di avvicinarsi a ciò che si sente di essere. Quando gli interventi diventano traduzione di un’autoprogettazione del sé, il corpo diventa progetto e ogni sua modifica prescinde dal solo aspetto estetico ma influenza ogni sfera dell’esistenza. L’obiettivo è anche quello di smettere di chiedere costantemente il permesso di esistere; in una realtà dove la transfobia è sistemica e diffusa un corpo visibilmente trans è di per sé problematico, così ogni intervento chirurgico diventa slancio verso una liberazione possibile. Non ci si può non chiedere a questo punto quanto effettivamente sia la stessa società a imporre a tutti i corpi dissidenti di re-incasellarsi nei binari del maschile e femminile, quasi a volerne annullare ogni potenzialità sovversiva. Ma se questa è una battaglia che si combatte con il proprio corpo allora il primo passo è riappropriarsene, per riappropriarsi della propria esperienza del mondo. Scoprire il corpo come strumento per attraversare e sperimentare nello spazio e con la propria vita, concedendosi anche di non fare sempre la cosa giusta. Tutte le mie cose belle sono rifatte ritaglia e rivendica lo spazio per l’errore, la possibilità di sbagliare, il diritto alla frivolezza. È forse proprio questa la forza di FumettiBrutti, che sa trovare la forza della vita in ogni angolo di mondo: “con questo libro volevo far passare che nonostante tutto io al liceo mi son anche divertita”, dice, “e spero di esserci riuscita!”.

Marianna Fontana