Il diario di bordo di BCM19 - 14 novembre

14/11/2019

Già dalle prime ore della mattina mi domando se riuscirò a trasporre su carta quello che BookCity mi trasmetterà. Dopo molta indecisione sono riuscita a selezionare due eventi a cui assistere tra la miriade di quelli proposti.

Si tratta di due presentazioni di libri che trattano argomenti diversi, dall’antropologia alla critica moderna al capitalismo, ma l’aspetto comune tra due eventi così differenti sta nell’’attenzione per il dialogo. Ossia, gli eventi organizzati hanno sì lo scopo di promuovere e presentare dei libri, ma ampio spazio è dedicato al dialogo, che avviene sia tra i presentatori stessi, sia con il pubblico presente. La scelta di rendere il dialogo uno dei protagonisti è sicuramente controcorrente rispetto ai tempi odierni. Infatti, oggi si ha la tendenza a prediligere dibattiti pubblici nei quali sovrastare l’interlocutore, non ascoltandolo o impedendogli di esprimere la propria opinione, è simbolo di vittoria del confronto.

La nostra società invece necessita di dialogo, soprattutto per capire ciò che è diverso e distante. Questo è emerso anche nel primo incontro a cui ho partecipato dov’è stato presentato un progetto: ”Migrantour”. Questa iniziativa permette innanzitutto di conoscere la città attraverso delle passeggiate, e in secondo luogo di conoscere persone immigrate che si sono stabilite a Milano. Anche qui il dialogo è fondamentale per la comprensione dell’altro e su di esso si fonda questo progetto che ambisce a favorire l’integrazione dei cittadini di origine straniera nelle città coinvolte in esso, favorendo la comprensione e il rispetto reciproco.

Sicuramente durante l’organizzazione degli eventi di BookCity si è tenuto in considerazione il fatto che il libro simboleggia la circolazione e lo scambio di idee. Questa diffusione avviene anche attraverso il dialogo ed il dibattito che sono sempre occasioni di crescita per gli interlocutori e per coloro che sono disposti ad intervenire.

Cristina Pozzoli


Per capire cosa sia BookCity per la città di Milano basta immaginarsi al centro del cortile del castello sforzesco. La luce, ormai, è quella invernale grigio-bianca, emanata dal cielo plumbeo di una giornata incerta. Alzando lo sguardo si scorgono i volumi della biblioteca del castello, in una stanza con la luce accesa nonostante siano solo le 14. In genere, trovarsi in mezzo al cortile di un castello di un’epoca così immensa e lontana fa sentire molto piccoli e altrettanto soli. Ma questo non accade nei giorni di BookCity. Immaginatevi infatti di essere sempre nello stesso cortile, con tutta la sua storia e le persone che passano distrattamente da sei secoli a questa parte, date una rapida occhiata alla solita finestra e ai volumi ordinati che si possono scorgere. Ma poi, guardate dritto davanti a voi. No, non sul prato. Lì c’è una scritta, e quello che conta non è lei, ma ciò che rappresenta. Guardate quella specie di gazebo bianco: è una libreria. In mezzo al cortile del castello allora ci sei tu, c’è tutta la storia dei secoli passati, c’è la gente che passeggia distratta o corre per prendere la metro, e c’è una libreria. Con le sue dimensioni modeste, soprattutto se paragonate a quelle del castello che accoglie il gazebo bianco, rappresenta per chi passeggia un’àncora di salvezza. Anche se è solo uno dei tanti punti di una manifestazione chi passa per caso non lo sa, ma comunque, leggendo libreria, entra almeno a dare un’occhiata. E subito diventa un centro, un modo per fare orario, per aspettare prima di prendere la metro, per frenare, anche solo per qualche minuto, i ritmi di una vita frenetica. Questo è ciò che ha modo di osservare chi è disposto a dedicare un po’ del suo tempo non solo alla libreria e ai libri che contiene, ma anche alla gente che passeggia nel castello in un giovedì pomeriggio insolito. O almeno, questo è quello che io ho potuto osservare, e che ha dato inizio alla mia esperienza del BookCity 2019. Forte dell’interesse dei passanti che ho potuto notare al castello, ho deciso di andare subito all’Università Statale per aspettare l’incontro delle 17, e per vedere come gli studenti e le studentesse reagissero avendo all’interno dell’università BookCity come ospite. In realtà, devo ammettere che se avessi potuto mi sarei spostata in diverse parti della città in cui si tenevano incontri che mi interessavano, ma non è agevole spostarsi fra luoghi molto distanti, dunque anche fra gli incontri più attraenti bisogna fare delle scelte. Io ho scelto e anche se non so cosa mi sono persa, so cosa ho visto e non me ne sono pentita. Essendo arrivata alla Statale con largo anticipo per l’incontro delle 17, ho deciso di visitare la mostra fotografica KE’BEK – Là dove il fiume si restringe. Ero sola, davanti alle fotografie molto belle di Marzio Emilio Villa. Ero talmente assorta, che quando un uomo mi si è avvicinato per dirmi qualcosa che non ho nemmeno capito, sono trasalita. Dopo essere uscita da una fase di trance, ho realizzato che chi si era avvicinato a parlarmi era proprio Marzio Emilio Villa. Ho fatto con lui una lunga chiacchierata, mi ha spiegato il progetto, gli ho fatto qualche domanda per saperne di più su Robert Lepage e le sue opere. Quando sono scattate le 16, fra lezioni appena finite e lezioni che stavano per cominciare, un fiume di persone ha attraversato il corridoio ospite delle fotografie. E tutti si sono fermate a guardarle. La folla si è portata via le chiacchiere col fotografo, e la curiosità di fare una passeggiata per l’università era tanta. In diversi angoli c’erano ragazze e ragazzi che si fermavano a chiacchierare vicino al programma di BookCity appeso su muri e tabelloni, e di tanto in tanto i loro occhi cadevano su qualche evento che destava il loro interesse. Parlavano di libri e di presentazioni, di incontri, mostre ed eventi. Alle 17 sono andata all’incontro Tra l’incudine e il martello. La seconda guerra mondiale e la Shoah, narrativa, storia, in cui Antonella Salomoni, Emanuela Guercetti e Elda Garetto dialogavano sul libro di Anatolij Kunznecov Babij Jar, ripercorrendo le vicende storiche del secolo scorso ucraino, trascorso tra unione sovietica e nazismo. Kunznecov, scrittore antitotalitario e narratore della verità di cui era testimone, scappò dal suo paese per vivere come rifugiato in Inghilterra. Solo una volta esiliato, lontano dalla censura e dal controllo sulle sue parole, potè pubblicare il suo romanzo documento per intero. Era il 1970. Solo quest’anno è stato pubblicato integralmente tradotto in italiano, e ho trovato molto interessante l’approfondimento fatto dalle tre relatrici, che si muovevano fra questo romanzo, la vita dell’autore come testimone, altri scrittori e altre storie, per tentare di tenere viva la memoria di quello che è stato. Una volta finito l’incontro alla Statale sono subito corsa al memoriale della Shoah, alla presentazione della mostra 100 giusti al mondo. Inutile dire che è stata commovente e davvero straziante: storie di donne di uomini che hanno reso il nostro mondo un posto migliore e che con le loro azioni, spesso spontanee e a volte anche dimenticate, al di là di qualsiasi osservatore, hanno salvato la vita a uomini, donne e bambini: profughi e bisognosi di ogni tempo, dagli ebrei vessati dal nazismo ai migranti africani della nostra contemporaneità. Se tante persone si sono salvate anche dalle stragi peggiori e hanno potuto darcene testimonianza è anche grazie a queste persone, che con tanto coraggio e spesso mettendo a rischio la loro stessa vita, si sono assunti la responsabilità di non girarsi dall’altra parte, denunciare i criminali e aiutare le vittime.

Elena Argiolas