#BCM2020 - Diario di bordo 13 novembre

13/11/2020

Sveglia presto, caffè, mail di lavoro. Le giornate in lockdown sembrano pericolosamente tutte uguali. Due mie amiche l’altro giorno discutevano sull’utilità di andare a comprarsi un profumo nuovo, che tanto in fondo non vedi mai nessuno. Questa BookCity è davvero strana, densa e intensa molto più di altre, quasi senza soluzioni di continuità con eventi che si susseguono serrati, da una diretta all’altra, da una app all’altra. Ma mi manca il sole di novembre, l’aria fredda, prendersela con il traffico, gli appunti presi a mano. L’anno scorso di questi tempi ero in Finlandia, un posto dove novembre si traduce letteralmente con “il mese della morte”, una roba allegra insomma. Parafrasando David Foster Wallace, una cosa divertente che non farò mai più. Perché nonostante la distanza, nonostante le paure e le difficoltà che abbracciano tutti noi, almeno dalla finestra entra una luce che si propaga nelle parole e nella musica che ogni volta ci donano dai posti più disparati, dalle storie delle carceri, dalla memoria, dalla storia. Ilaria Capua, una delle virologhe più famose al mondo, dice semplicemente che dovremo convivere con questo virus, con questo mondo, per almeno un altro anno. Ne parla con fermezza, con praticità. E soprattutto racconta di come ognuno di noi sia parte di questo enorme organismo, che, come una grande barriera corallina, per preservare la sua bellezza, ha bisogno dell’aiuto di tutti, della vita e degli sforzi di ognuno di noi. Ci sono donne, come Lydia Franceschi, che hanno lottato da sole contro l’ingiustizia, contro uno Stato che le ha private non solo di una persona ma della verità, donne che ancora oggi lottano, come Ilaria Cucchi. E se loro sono l’esempio di come una forza sconfinata possa nascere da una sola gemma di amore, forza e onestà, abbiamo il dovere di dimostrare a loro e al mondo di poter mettere da parte la retorica e unirci per fronteggiare qualcosa che minaccia la libertà e la vita di ognuno di noi. E se negli anni ’70 non c’era altro che il telefono per restare vicini, le lettere, le attese lunghe giorni o settimane, quest’epoca ci ha portato i mezzi per tenerci per mano anche se separati dal cemento e dai chilometri, non per replicare le nostre divisioni ma per addolcire le nostre lontananze.

                                            Bleiz Del Sette

Facciamo un gioco: andate sul sito di BookCity Milano alla sezione eventi e selezionate la giornata di oggi 13 novembre. Ora contate il numero di eventi. Quanti sono? Sperando di non aver compiuto errori, io ne ho contati centocinquantaquattro, di cui venticinque in contemporanea solo alle ore 17.00. Wow. Non è forse la stessa parola che state pensando anche voi in questo momento? Ebbene, è stata la prima parola a cui ho pensato mentre mi apprestavo a creare la mia personale scaletta di eventi a cui partecipare in questa terza giornata di BookCity Milano. E sapete quale altra parola va a braccetto con wow? La parola varietà. Perché sì, non credo che esista una parola migliore di varietà per descrivere la mia giornata di oggi e l’altalena di emozioni che ne sono conseguite: mi sono immersa nella Orleans di Giovanna d’Arco, poi sono tornata bambina con i principi e le principesse Disney, ho vissuto in chiave fantasy la nascita di Roma e infine ho riso assieme a tre milanesi DOC proprio su questa città, Milano, da cui, a causa dell’emergenza sanitaria sono lontana ormai da marzo e di cui stasera sento particolarmente la mancanza. Ma, ora, entriamo più nel dettaglio di questi eventi. Donne al rogo. Le eretiche del Medioevo, così il titolo del primo incontro, si pone l’obbiettivo di riflettere su questa pratica, ma non solo: essa infatti è il punto di partenza per riflessioni più ampie che riguardano il fatto che la trasmissione delle testimonianze - di che cosa fosse meritevole o meno di essere ricordato dai posteri - fosse un compito prettamente maschile o, ancora, di come l’eresia si collegasse spesso alle posizioni più militanti del cristianesimo. Per raccontare tutto ciò la professoressa Marina Benedetti, relatrice della conferenza, cita spesso nomi di donne condannate al rogo per eresia; la più famosa di queste è ovviamente Giovanna d’Arco, la cui vita, durante la conferenza, è stata raccontata nei dettagli. Ragazze e ragazzi che cambiamenti, tra identità di genere e dinamiche di coppia! Le trame Disney - da Biancaneve (1937) a Oceania (2016) – li riflettono e ci rendono più consapevoli di essi è il titolo (lunghissimo), di una conferenza che parla di quanto le figure dell’universo Disney (in primis principi e principesse) si siano evolute negli anni andando di pari passo (o addirittura anticipando) i cambiamenti generazionali di ragazzi e ragazze degli ultimi ottant’anni. Romulus: il romanzo, l’universo narrativo della serie tv. Un esperimento crossmediale è stata una breve conferenza per sponsorizzare la recentissima uscita del primo romanzo della trilogia “Romulus” di Luca Azzolini, trasposizione letteraria dell’omonima serie in onda in queste settimane su Sky Atlantic. La trilogia narra, in una chiave a metà strada tra il romanzo storico e il fantasy alla George R. R. Martin (non a caso una delle fonti di ispirazione del giovane scrittore), l’origine della città di Roma. L’ultima conferenza della giornata, Scrivere gialli a Milano, si è rivela una piacevole e divertente conversazione a tre tra lo scrittore Gianni Biondillo, il cantautore Stefano Covri e il conduttore radiofonico Luca Crovi il quale, durante l’evento, ha presentato il proprio libro “Storia del giallo italiano”. Tra una canzone, una battuta e qualche aneddoto sulla Milano di una volta, i tre hanno approfondito il particolare legame che lega questa città e il genere giallo.

                                                    Gaia Pesce          

L’offerta editoriale, culturale, umana di BookCity è ampia, “tutti i gusti più uno”. Questo è sicuramente il bello; talmente sono numerosi gli incontri durante una sola giornata che non si riuscirebbe, nemmeno volendo, a incastrarli in 24 ore. Ci si trova a proprio agio sempre, si sceglie l’evento più incline a se stessi, un po’ per curiosità, un po’ per forti interessi, per supporto ai propri ideali e un po’ per sensibilità. Proprio su questo ultimo termine mi soffermerei, mentre questi minuti scorrono via rapidi con la mia terza serata di BookCity. La sensibilità, oggi in larga parte sconosciuta, dovrebbe essere una parola amica, grande madre dell’animo umano. Dovrebbe risuonare lenta e cadenzata come i rintocchi di una campana in ogni nostra azione quotidiana, dalla più banale alla più eloquente diventando una, anzi, LA parola-guida di tutti i tempi, in particolare di questo periodo storico che appare così buio. Oggi a BookCity ho avuto modo di riconsolidare una declinazione a me molto cara della parola sensibilità: quella verso un altro essere vivente che non gode spesso dei dolci frutti di questa. Mi riferisco agli animali, in questo specifico caso ai cani, amici e compagni dell’uomo da sempre. Questa riflessione nasce così spontanea ora perché rinfocolata nel pomeriggio dall’incontro digitale con Susanna Barbaglia, giornalista, scrittrice, fondatrice di #readingwithlove ma oggi nella veste di mamma adottiva di un cucciolo ormai adulto, che nella prima fase della sua vita è stato barbaramente maltrattato e maltenuto. Grazie all’aiuto e alla sensibilità di Susanna e di altre preziose collaboratrici, Theodoros chiamato Theo, ora vive una vita degna di questo nome. Da questo incontro due domande si fanno sempre più grandi e preoccupanti. Quanti “Theo” ci sono nel mondo, nella vostra regione, nella vostra città, nel vostro piccolo paese di provincia? E quanti boia inamidati nelle loro cappe di ignoranza, superficialità, insensibilità? La risposta a entrambe le domande è “purtroppo tanti, troppi.” Cosa possiamo fare noi, singoli, piccoli e normali uomini e donne davanti agli orrori che puntualmente ogni giorno ricadono su esseri viventi indifesi e per loro natura remissivi? Lascio a voi la risposta. Da parte mia, queste ultime righe non vogliono essere un grido disperato, una battaglia contro i famosi mulini a vento, ma spero che almeno nel lettore inneschino un meccanismo di riflessione sul valore della sensibilità e sul sempre più crescente bisogno di un’educazione a questa, fin dalla più tenera età e nei più disparati ambiti. Nelle scuole, nei libri, nei cortili, nelle chiese, nelle famiglie, nelle case, nei parchi, nei luoghi di cultura, l’insegnamento alla sensibilità permetterà a noi di essere migliori in un futuro, spero, il più prossimo possibile.

                                                Chiara Diegoli

La mia giornata “lavorativa” è finita, sono le sette di sera e anche se ho fatto tutto ciò che avevo in programma oggi, sento un piccolo vuoto, forse dovuto al fatto che, appunto, non ho più nulla che possa impiegare il mio tempo. Ora che ho visto tutti gli eventi che avevo programmato, mi sento un po’ sola, sono scomparsi i volti degli uomini e delle donne che, con la loro voce, le loro spiegazioni, hanno riempito la mia giornata. In questo strano periodo in cui la vita sembra rallentare e scivolare via allo stesso tempo, ho capito che pensiamo molto a noi stessi, ci troviamo quasi costretti a conoscerci. Diventa inevitabile in una situazione simile indagare sulla propria personalità, sulle proprie scelte, su ciò che si sta facendo nella vita. Credo che riflettere troppo su argomenti simili sia dannoso, si finisce sempre, in un modo o in un altro, per odiare se stessi, criticare una scelta o farne di sbagliate. È in questa mia quotidianità non proprio salutare che è entrato BookCity. Ho scelto di seguire eventi che affrontassero il tema psicologico, filosofico e spirituale per potermi concentrare su cose più grandi di me, perché in questo periodo complicato ci siamo ritrovati obbligati a porci obiettivi a breve termine e questo, forse, ha automaticamente limitato il nostro raggio di riflessione. Oggi ho avuto la fortuna di poter riflettere su cosa sia il dolore con l’evento I gemiti del creato, in cui Roberto Mayer spiegava come i malati credenti si sentano più vicini a Gesù perché soffrono come lui ha sofferto, reazione che ho trovato affascinante. Bisogna distinguere tra il dolore patito, frutto di un elemento naturale che rientra nel ciclo della vita e il patimento inflitto, che nasce da un’azione umana. Quanto l’uomo è causa del proprio dolore? Alcuni “dolori” sono causati proprio dagli uomini. Una volta arrivati a questo punto, non si è potuto non trattare il tema ecologico. Mi sono ritrovata a pensare, per la prima volta dopo tanto tempo, a un obiettivo a lunghissimo termine (che esprimerò con un clichè): che mondo lascerò ai miei figli, ai miei nipoti? È davvero così difficile per noi umani rinunciare alle comodità quando in cambio riceveremmo un gran sollievo? In fondo lo ha detto anche Giorgio Cavallari durante il secondo incontro che ho seguito - L’uomo, la natura, la terra. Archetipi e simboli della rete della vita: le stesse leggi che regolano il nostro corpo regolano il mondo esterno, per questo l’uomo è una sorta di universo. Mi sono ritrovata a pensare su come viviamo in una società in cui ogni alimento viene passato al microscopio, in cui ogni giorno si scopre che un cibo è dannoso e un altro ha delle proprietà incredibili per il corpo, in cui società fatturano milioni - se non miliardi - grazie a prodotti proteici, digestivi, diuretici, ma che non è in grado di smettere di fare del male al corpo più grande che esista, la Terra. Sinceramente, troverei più razionale mangiare al Mc Donald a ogni pasto piuttosto che inquinare. Di questo secondo evento ho trovato molto interessante la frase “Il mondo esiste perché l’uomo lo scopre, è un continuo tentativo di rapportare uomo e universo, corpo e anima”. Spero davvero con tutto il cuore che l’uomo non smetta mai di scoprire il mondo e se stesso e interrogarsi su ogni cosa, perché senza questi interrogativi le generazioni future sarebbero private di uno stimolo troppo grande. Del terzo evento che ho seguito, Il senso del respiro, mi rimarrà per sempre impresso il parallelismo fatto da Nicoletta Polla Mattiot tra il silenzio e il respiro. Mi ha ricordato la bellezza e l’importanza di un gesto estremamente semplice, piccolo, involontario che però racchiude la vita intera. Stare immobili in un punto, chiudere gli occhi e godere del silenzio e del proprio petto che si alza e si abbassa: credo sia una delle cose che non dovremmo mai dimenticarci di fare per sentirci estremamente vivi.

                                            Benedetta Caccamo

Non riesco a non pensare a quanto avrei voluto che il mio primo assaggio di BookCity iniziasse nella ressa della metro, anziché nel silenzio di camera mia. Eppure, adesso che una giornata di incontri è appena giunta al termine, mi sento proprio come se avessi percorso tutta la strada che separa le varie realtà che ho visto protagoniste: il mondo dei social, a un tempo così astratto e così concreto, la Londra del primo '900, la Russia degli anni '70 e il municipio Milano 8, la redazione di Pretext... Un viaggio lungo, segno dell'impareggiabile potere dei libri, tra le cui pagine respirano mille mondi diversi. Forse, anche per questo, Virginia Woolf, prima della rassegna di grandi donne che oggi si sono susseguite davanti ai miei occhi, dichiara che la lettura è un'arte: lettrice vorace e onnivora, rifiuta l'inscatolamento dell'esperienza, ampliando i confini di ciò che è leggibile e rivedendo le possibilità di iterazione che ci apre il nostro dialogo con il libro. La lettura, come ogni altro, è per lei un gesto di relazione che ci porta in una biblioteca dove spira un'aria di libertà mai vista in nessun altro luogo, dove si fa un'operazione molto difficile: la presa di coscienza dello stato di uguaglianza che la lettura conferisce. Virginia, inimitabile nella sua doppia capacità di scrittrice e lettrice saggistica, ricerca una nuova strada espressiva che sia a misura di donna e sappia rappresentare le sue molte anime, tentativo che ho ritrovato quest'oggi anche nell'opera di Julia Voznesenkaja, autrice russa del “Decameron delle donne”. Testo rivoluzionario sia per il ruolo narratoriale conferito alle sue protagoniste, rivincita sul loro essere del tutto prive di voce al di fuori di quella stanza, sia per i temi trattati, che riguardano specificatamente l'universo femminile, l'opera lascia che siano dieci donne, messe in quarantena subito dopo il parto perché affette da una malattia della pelle, a raccontarci la loro storia. Nel contesto dell'isolamento, approda in primo piano la dimensione dell'individualità del singolo, che va a mettere in discussione le verità inculcate dall'alto e, anche grazie al ghigno della satira, va a decostruire e ad abbattere le imposizioni del regime. La sinergia e la volontà di conservazione delle relazioni che caratterizza queste donne, il loro tentativo di creazione di una nuova comunità dalla solitudine, affonda le sue radici nello stesso bisogno di contatto che mette in collegamento tutti noi, vicini ai miei occhi soprattutto in virtù di una passione comune, fratelli d'inchiostro. Ed è così che questo BookCity, che pensavo avrei vissuto in solitaria, mi ha trovata nella consapevolezza di essere parte dell'interminabile fil rouge di parole che lega i lettori che abitano il mondo, insieme a me in una stanza, le cui pareti non sono opprimenti, ma leggere, fatte solo di carta.

                                                Francesca Affer