Questo giovedì di BookCity è stato una vera e propria esperienza sulle montagne russe, un viaggio emozionante tra l’epica, la cinematografia, il giornalismo e l’arte. Che grande opportunità potersi aggirare tra tanti stimoli diversi in un unico pomeriggio, in una sola città! Nel corso del primo evento “Da Omero a Netflix, guerra e pace nelle rappresentazioni epiche”, si è discusso in modo dotto e approfondito di come il cinema, la televisione e in generale ogni mezzo protagonista della rivoluzione mediale abbiano sfruttato i grandi classici per allettare le masse e incassare al botteghino, eclissando l’importanza del senso storico e della memoria, a favore invece di una spaventosa apologia del presente. Si è trattato di un simposio che ha fornito spunti di riflessione vari, in particolare ho trovato molto interessante ragionare insieme su come sia cambiato il significato del mito nel corso degli anni e come la società lo pieghi alle sue diverse esigenze: mito in quanto storia antica; mito riproponibile nella contemporaneità e abbassato per un adattamento al presente; mito come strumento quotidiano di giustificazione di limiti e paure personali. Gli argomenti discussi toccavano dei picchi di erudizione molto elevati, che hanno soggiornato nella mia mente nel corso di tutto il pomeriggio, alla ricerca di un filo conduttore che potesse districarli e illuminarli nella loro profonda attendibilità.
Presso la libreria Egea si è invece tenuto un dialogo amichevole con il giornalista e scrittore Michele Masneri, in merito al suo ultimo libro: Paradiso. Avendo divorato il romanzo in un giorno d’estate, ero estremamente impaziente di assistere a questa intervista che si è svolta cercando di comprendere cosa significa lavorare oggi nel mondo del giornalismo, come gestire l’ambizione e il rapporto con la scrittura. Abbiamo parlato insieme dei conflitti che emergono tra le pagine del libro: Roma-Milano, un difficile salto non solo geografico, ma sociale e abitudinario; accidia e intraprendenza e come sia facile cadere nella prima quando dalla seconda sembra non ricavarsi alcun compenso; fascino della decadenza vs plasticità della modernità. Nell’ora trascorsa Masneri ci ha concesso di approfondire con lui alcuni passi della sua opera e di scavare tra le parole alla ricerca dei tratti autobiografici, di finzione e di ispirazione che lo hanno condotto alla stesura di una storia tragicomica e attuale, che personalmente consiglio con entusiasmo ad ogni lettore.
Da ultimo, ma non per importanza, l’evento di presentazione del libro Io, Vincent Van Gogh del regista, scrittore, attore Corrado d’Elia. Personalmente è stato un qualcosa di tremendamente emozionante assistere alla sua presenza appassionata e coinvolgente mentre declamava alcuni versi della sua opera. Sì, perché si tratta di una soggettiva di Van Gogh, il quale racconta ad altri il proprio punto di vista emotivo sulla sua stessa vita e sulla sua arte, e questa narrazione è insieme teatro, poesia e confessione. D’Elia ha scritto queste pagine come se fossero delle pennellate: sentendolo parlare della sua opera con energia, quasi come se avesse un fuoco dentro, sembrava stesse dipingendo una tela invisibile, sembrava si fosse incarnato in Van Gogh, nel protagonista della sua voce: intensa analogia tra parole e colori. Oltre a ciò, ha scosso l’animo del pubblico facendo luce su un conflitto antico e primordiale nonché essenziale quando si parla di essere umano: quello tra arte e vita… Anzi, arte o vita, già, perché tale rapporto si risolve in un’inconciliabilità congenita tra i bisogni divoranti dell’arte e quelli pratici della vita. Aver allestito questa presentazione in parte come intervista e in parte come declamazione teatrale è stata una scelta incredibilmente riuscita, sia perché si tratta di un artista che ama e quindi sa fare il proprio mestiere, sia perché il libro stesso, per la sua intrinseca struttura, necessitava di una presentazione del genere per poter trovare legittimazione e terreno fertile d’ascolto. Infine, D’Elia ci ha sconvolto con un’ultima perla con cui tornare a casa e che gli ha consentito di essere, a mio parere, anche estremamente coerente con il tema centrale di Book City: dovremmo imparare ad aprire la mente e scoprire i colori che animano ognuno di noi per poter vivere così, in un mondo di numerose tonalità, ognuna specchio di un’arte diversa e profondamente umana.
Anna Consoli
Profumo di incenso alla lavanda, poche luci soffuse e colorate nel buio della stanza, un tavolo imbandito, pronto per l’ora del tè: così è iniziato il mio viaggio a BookCity Milano, presso la Libreria Esoterica, giusto la sera prima dell’inaugurazione. Ilaria Angelini ha presentato il "Viaggio letterario nella magia del tè", esperta di arti divinatorie e scrittrice, ci ha deliziato con il suo reading, passando di epoca in epoca, di sala del tè in sala del tè. Abbiamo attraversato l’epoca Vittoriana leggendo passi di The Importance of Being Earnest del conosciutissimo dandy Oscar Wilde, approfondendo come la pratica del tè delle cinque si sia sviluppata nei salotti della Regina Vittoria. Il tutto con la forte ironia di critica sociale e la maestria che caratterizza l’autore. Questa tradizione viene poi affiancata dalla lettura delle foglie di tè, di cui Ilaria ci ha dato dimostrazione a conclusione della serata in un momento magico e di conoscenza reciproca. Insieme a Oscar Wilde, da dei passi di scritti di Jane Austen conosciamo poi i luoghi delle sale da tè, per comprendere cosa significassero per le donne dell’epoca: primi luoghi di imprenditoria femminile e gli unici in cui le donne potevano andare a cercarsi e conoscersi. Siamo giunti poi negli anni ’20 del proibizionismo, dove chi non poteva andare a bere con i grandi Gatsby si trovava a bere del semplice tè, come ci spiegano Scott e Zelda Fitzgerald. E come non citare l’ora del tè tra le più iconiche e divertenti nella letteratura inglese? Con il Cappellaio matto e la Lepre di Marzo, ci siamo persi anche del mondo fantastico di Alice in Wonderland.
La mattina di oggi 14 novembre inizia invece con un’atmosfera più malinconica, tra le fotografie analogiche in bianco e nero dell’artista Flavio Tecchio, in mostra con la sua collezione CITY alla Biblioteca Dergano-Bovisa. Rimango subito affascinata e attratta dai suoi soggetti e scatti, i quali mantengono la materialità della pellicola anche nelle fotografie stampate. Si nota subito la sua ricerca legata alla condivisione, alle relazioni degli esseri umani con gli altri e il mondo che li circonda, che nel caso di questa selezione spazia da New York all’Irlanda, dall'India all'Ungheria: non importa il luogo, si tratta di emozioni. Come scrive Paola Riccardi nella presentazione della mostra “tutte le persone che abitano l’ambiente circostante sono trasformati in simbolici alter ego di un mondo onirico e personale” e così mi sono immedesimata anche io in alcuni degli scatti che mi sono trovata davanti. In particolare, The Observer, fotografia scattata nel 1998 in Irlanda che ritrae un uomo al bar che osserva, appunto, lo spazio attorno a sé, e Crossroad, istante colto (o tolto, se consideriamo la fotografia come una cristallizzazione del tempo) a New York City, nel 1993, in cui figurano semplicemente varie paia di gambe, intente nel loro cammino a un incrocio della città. Nella fotografia di Flavio Tecchio ho scoperto e trovato uno sguardo nuovo, eloquente, che resta addosso e cambia seppur impercettibilmente il modo che abbiamo di guardarci attorno, un po’ forse con l’idea di essere proprio tra quelle persone fotografate, in un istante, in un secondo, di una giornata qualunque.
L’ultimo incontro della mia giornata, "Forme di resistenza e poetica della rottura nell’America Latina contemporanea", si è tenuto invece alla sede di Mediazione Linguistica dell’Università degli Studi di Milano, organizzato come una lezione aperta con alla cattedra la professoressa Fernanda Pavié Santana e l’editrice e traduttrice Rocío Bolaños. Le due hanno fatto più che presentare il nuovo libro di poesie tradotto dalla seconda: in un discorso sinergico e di scambio con il pubblico la raccolta delle parole dell’autrice salvadoregna Marielos Olivo ci ha investito in tutta la sua forza. Il giardino che lei vuole realizzare parte dai semi della comunicazione su tematiche come la condizione femminile, questioni di genere, orientamento sessuale o affetti. La sua voce si moltiplica in tutte le voci delle donne che ha incontrato nella sua vita e che purtroppo ancora nel mondo contemporaneo dell’America Latina non hanno. Il passaggio da un femminile singolare a un femminile plurale è veicolato tanto dal richiamo dei nomi di queste donne quanto dalla raffinatezza della sua poesia, che pur viscerale e originandosi dalle sensazioni più piene e vigorose del suo animo, mantiene eleganza e ci trascina in questa realtà. L’ultima poesia letta, quella che mi ha parlato di più, viene proprio dalla sezione finale del libro chiamata “Il vivaio”, in cui Marielos ribadisce come abbia sempre a mente l’amore per le donne da una parte e la loro storia dall’altra, come piante vive che si fanno strada con le loro radici nelle trincee della lotta di resistenza che porta avanti.
Alice Carrier-Ragazzi
Van Gogh è il mio pittore preferito Il freddo di questo tardo pomeriggio, che indossa, grazie a novembre, un mantello tale da renderlo notte, viene improvvisamente interrotto all’ingresso in libreria. Sapevo a cosa stessi andando incontro eppure mai mi sarei aspettata di trovarlo così: Vincent era lì, seduto al centro del palcoscenico, con la platea vuota, distrutto, agonizzante, massacrato dai suoi stessi pensieri ma ardente di emozione, pronto a urlare contro l’aria vuota e immobile la verità sulla sua anima. È questo il Vincent Van Gogh che viene ritratto all’interno del libro “Io, Vincent Van Gogh” di Corrado D’Elia, un Van Gogh che ti esplode tra le mani e non ti lascia più sereno. L’atmosfera diviene magica quando a rivestire i panni di quello che è “il pittore dei pittori” è l’autore stesso, anche attore, drammaturgo e regista teatrale.
Una musica in sottofondo preannuncia l’inizio della lettura di un estratto del libro.
La lettura è sulla descrizione della Notte Stellata “Nel frattempo guardo le stelle” dice l’attore-autore prima di iniziare a leggere, mentre volge lo sguardo in alto quasi a creare una finestra che accoglie nient’altro che le stelle, attraverso il tetto della libreria. I versi, toccanti, che giungono dritti al cuore, sono una confessione del pittore sulla propria verità fatta alle stelle, “specchio vibrante delle nostre stesse vite”, e al cielo, che diviene “il confine austero tra la fragilità e il mondo intero”. La conversazione, portata avanti con il presentatore Carmelo Pistillo, approda, poi, al concetto di genio. La continua e instancabile corsa che si intraprende nella speranza di poter toccare con mano la vera essenza del genio, è necessaria e innata nell’uomo nonostante egli stesso sappia esser vana. Vana poiché il genio non può essere compreso o analizzato, semplicemente esiste. La figura di Van Gogh, evincibile soprattutto dallo scambio epistolare intrattenuto con suo fratello Theo, è quella dell’artista tormentato, pugnalato dall’arte ma assetato allo stesso tempo di essa: l’arte brucia ma nonostante questo egli vorrebbe stare sempre all’interno di essa, a bruciare.
“Van Gogh è il mio pittore preferito”: una frase che spesso arriva dai bambini durante i loro primi approcci con il mondo dell’arte. Van Gogh, infatti, è tra pittori capaci di far emozionare fin da piccoli: colpisce poiché il primo livello di comprensione è evidente, ma la realtà, che riconosciamo all’interno del quadro, è nuova, vista attraverso un filtro che non ci aveva mai raggiunto. “È più grande l’arte o la vita?” si chiede il Van Gogh di Corrado: non esiste una risposta poiché l’arte diviene un’esperienza così totalizzante che le due cose si fondono al punto tale da non essere più distinguibili. Dunque, l’arte esiste poiché si vive e si vive grazie all’arte e in essa si ritrova l’unica salvezza, l’unica fragile tregua. Questo è un libro che, come più volte viene puntualizzato dall’autore stesso, nasce per la lettura ad alta voce poiché vive attraverso il respiro di un elemento portante: la parola pronunciata che si fa strada nel vuoto. L’approccio a una storia grondante di umanità come questa mi distacca così tanto dal reale che all’uscita, il freddo, fattosi ancora più intenso per il calare della sera, è quasi impercettibile sulla scorza che avvolge i miei pensieri ed emozioni.
Gerarda Villano
Ho avuto modo di partecipare all'evento “Guerra e pace nel teatro attico” presso l’Università Statale di Milano. A questo evento sono stati presentati due testi antichi inseriti nella collana Teatro classico in scena, edita da Carrocci. In particolare durante l’evento si è discusso di due testi della collana, ovvero la commedia Gli acarnesi , tradotta dal professore Zanetto e la tragedia Antigone tradotta dalle professoresse Beltrametti e Giovannelli. Il tema della commedia, la pace, è più che mai attuale nel periodo storico in cui viviamo ed è davvero impressionante rendersi conto di come questi testi così antichi, ancora oggi, ci parlino e non smettano di essere attuali, in ogni epoca e storia. Il prof. Zanetto ha raccontato di come ha lavorato a questa traduzione, molto difficile: Aristofane, infatti, maneggia molto con il greco e gioca con le parole; il Professore ha cercato, con la traduzione in prosa, di dare un ritmo e rendere la musicalità del testo greco, inserendo ad esempio delle filastrocche. In seguito Zanetto ha fatto una considerazione molto interessante sul fatto che in questa commedia sia presente anche la tragedia, c’è un allusione ad essa, infatti l’intera vicenda è costruita su una tragedia di Euripide, Telefo. Per quanto riguarda Antigone, invece, si è sottolineato come questo testo si sia insediato maggiormente nell'immaginario comune, infatti se ne parla e se ne è discusso molto. In particolare, la professoressa Giovannelli ha parlato dell'interpretazione di Brecht negli anni 40‘ del Novecento, che ha avuto un grande riscontro e seguito. Molto bella e coinvolgente è stata anche la lettura di alcuni passi, sia de Gli acarnesi sia di Antigone, eseguita dall’attore Christian Poggioni che è riuscito a rendere molto bene le parole di Antigone e la ballatella della commedia. Invito tutti a trovare l’occasione per vedere l’Antigone recitata dal vivo oppure per provare ad approcciarsi alla traduzione italiana del testo.
Lucrezia Prati
L’incontro "Pasolini oggi. L’autore e il direttore di riviste" si è tenuto nell’Aula 113 dell’Università degli Studi di Milano e ha vantato la partecipazione di studiosi di grande prestigio: Guido Santato è stato Professore di Letteratura italiana presso l’Università di Padova e ha fondato la rivista internazionale Studi pasoliniani; Silvia De Laude è la maggiore studiosa di Pasolini in Italia; Giorgio Nisini è Professore di Letteratura italiana contemporanea alla Sapienza Università di Roma ed è un esperto del poeta bolognese. La conferenza è stata moderata dalla preparatissima Elena Grazioli. Guido Santato ha preso per primo la parola, iniziando a spiegare che il titolo del suo volume Pasolini oggi. Studi e letture si può suddividere in due parti: Pasolini oggi, per sottolineare l’attualità del pensiero pasoliniano; Studi e letture, per stimolare la ricerca di nuove riflessioni, allontanandosi così da interpretazioni ormai consolidate. Santato, infatti, ha illustrato il fenomeno di mitizzazione che ha colpito Pasolini, il quale, nel tempo, si è trasformato in una sorta di icona pop, con la pericolosa conseguenza di essere rigirato a piacimento da persone che – purtroppo – non lo conoscono adeguatamente. Sono stati citati i dodici studi che hanno dato vita all’opera di Santato, con una particolare attenzione ai tre approfondimenti dedicati alle letture poetiche. Difatti, a causa della macchina mitologica che ha chiacciato la figura di Pasolini, si tende a dimenticare che l’autore bolognese è nato proprio come poeta. Successivamente, l’intervento di Silvia De Laude ha nuovamente posto al centro dell’incontro l’importanza e la necessità di una lettura rinnovata. È arrivato poi il turno di Giorgio Nisini. Soffermandosi sui temi dell’attualità e della classicità, Nisini ha favorito l’apertura di un dibattito molto vivace: Pasolini può essere definito un autore classico? Gli studiosi presenti all’incontro hanno cercato di trovare una soluzione a quello che, apparentemente, potrebbe sembrare un ossimoro, esprimendo i loro diversi pareri. Santato, nel capitolo-saggio Pasolini precursore della decrescita?, ha analizzato il notevole successo riscosso da Pasolini tra gli economisti, i quali ci ricordano costantemente la sua attualità: per esempio, Giulio Sapelli, nel 2005, ha scritto un’opera dedicata all’idea di capitalismo del letterato bolognese. Santato ha continuato il discorso sulla classicità, sostenendo che, nonostante le opere di Pasolini siano state pubblicate nei Meridiani (una collana di classici), egli è un autore sperimentale, che ha sempre lavorato all’insegna della contaminazione. De Laude, invece, ha parlato della possibilità di utilizzare l’etichetta «classici anomali». Nisini ha ripreso il dibattito aperto da Santato e da De Laude, sottolineando che tradizione-non tradizione sono due categorie che Pasolini ha messo in gioco fin dai suoi primi scritti – il riferimento è all’articolo Cultura italiana e cultura europea a Weimar, in cui si ritrova l’espressione «uso antitradizionale della tradizione». In conclusione, questo incontro, oltre ad aver ripulito la figura di Pasolini da ogni mito popolare e da ogni lettura fuorviante ed estremizzata, è stato utile per approfondire il lato umano del poeta bolognese. Santato, infatti, ha raccontato al pubblico di aver incontrato Pasolini tra il 1970 e il 1975: riportando alcune loro conversazioni, ha dimostrato come lo scrittore sia sempre stato un uomo umile, con uno spiccato senso dell’umorismo, che non ha mai fatto pesare la sua superiorità intellettuale. Grazie ai preziosi interventi degli studiosi che hanno preso parte alla conferenza, siamo ora in grado di parlare di Pasolini come di un letterato dotato di una straordinaria umanità e di un considerevole acume; come di un eccellente uomo di cultura che si è dilettato nelle più svariate arti (tra cui il cinema e la pittura), impossibile da ingabbiare in definizioni convenzionali. Per terminare, Santato ha lasciato una riflessione che ci può aiutare a trarre personalmente ulteriori conclusioni: «Pasolini è la persona più geniale che abbia mai conosciuto».
Aurora Pecci
L'università Statale di Milano si trova a pochi minuti da casa mia, eppure io, come al solito, mi ritrovo a correre con la mia bici per arrivare in orario. Sono le 11:01 e, per mia fortuna, l'aula è ancora chiusa, la aprono pochi minuti dopo. Arrivo all'incontro con un’idea pop di Pasolini, non ho mai letto nulla pur ripromettendomi di anno in anno che qualcosa di suo l'avrei sfogliato, ma ogni volta che entro in libreria nella mia testa mi sussurrano in sottofondo i libri che ancora non ho aperto ed ecco che mi ritrovo a mani vuote uscendo dalla Feltrinelli di turno. Quello che conosco di Pasolini è quello che vien detto: dai telegiornali, dai miei familiari e un po’ in giro. Quindi, quando mi si presenta di fronte un'occasione come BookCity e un incontro che tratta di Pasolini oltre la sua figura idealizzata, colgo la palla al balzo e, devo dire, è un ottima scelta. “Pasolini oggi. L’autore e il direttore di riviste” ha come ospiti Guido Santato, che ci presenta il suo libro sull’autore, Pasolini oggi. Studi e lettere, Silvia De Laudo e Giorgio Nisini, che pongono domande all'autore e discutono insieme a lui. Nel dialogo che si instaura, viene presentato il Pasolini poeta, scrittore, regista, uomo di teatro, insomma un uomo eclettico le sue mille varietà si incastrano perfettamente in ogni suo lavoro. Si possono trovare delle parole chiave per questo incontro che dura due ore, ma ore in cui il tempo vola per l'abilità di colloquiare di chi presenta la figura affascinante che è Pasolini: attualità, contemporaneo, classici, poeta (quella per me più importante). Una frase che Silvia De Laudo ha detto nel suo intervento mi ha colpito particolarmente: l'uso della figura di Pasolini come un santino consumato dalla sua stessa ideologia, errore che mi ritrovavo a fare anche io; un paragone di come noi questo autore lo percepiamo superficialmente oggi, di come sia diventato la camicia bianca su cui proiettare i suoi pensieri, proprio come quando, aiutato dall'amico artista Fabio Mauri, ha eseguito una performance in cui indossando, appunto, una camicia bianca si è fatto schermo su cui è stato riprodotto il Vangelo secondo Matteo. Pasolini è un autore ancora attuale grazie alla sua capacità di comprendere quanto sarebbe accaduto nel futuro, è vivo nel nostro contemporaneo ma necessita di una rilettura non ingessata. Fedele alla tradizione e ai modelli di Dante e Petrarca, a cui si ispira da bambino per le sue prime poesie, Pasolini non può essere definito un autore classico nel senso stretto della parola: come i pezzi di un puzzle, le sue opere, in tutte le forme, combaciano l’una con l’altra e lavorano insieme senza mai dividersi, in un intreccio inscioglibile. Esco da questo incontro con un'urgenza di superare l'immagine pop che avevo nella mia testa e andarmi a comprare, finito il libro che sto ora leggendo ovviamente, le poesie di Pasolini; studiarlo come se fosse un autore trecentesco ma anche uscire dagli schemi e collegare quelle sue poesie alle altre opere che ha creato, costruire una sua identità attraverso le azioni di un uomo che non voleva essere racchiuso in uno schema. Si conclude l’incontro anche con un forte desiderio e rammarico per non poter conoscere un personaggio che Santato ci presenta in maniera formidabile.
Margherita Cerri