Con “La bellezza della diversità: come uscire dalla gabbia?” presso Ècate Caffè Libreria ho dato inizio alla mia settimana di BookCity Milano 2024 e personalmente ritengo che sia stato un ottimo punto di partenza. Infatti, quando ho deciso di partecipare a questo evento, mi sono lasciata ispirare dall’argomento e dall’ambiente, che ho sentito a me piuttosto affini e che mi hanno lasciato un piacevole ricordo della serata. Entrata in libreria, sono stata accolta da uno spazio intimo e gentile, che sembra quasi abbracciarti, introducendoti a mano a mano allo scambio altrettanto dolce e pacato che si sta per avere da lì a breve. L’evento ha avuto inizio come una chiacchierata tra Federica Lucà, autrice de “Lo spettro che non fa paura”, e Diego Leone, fondatore sia di Ècate che della casa editrice Do it human. Si è parlato dello spettro autistico e di come questo spesso si scontri con i canoni imposti dalla società contemporanea, la quale ci intima di seguire alcuni modi di essere e di fare, lasciando poco spazio ad altro. Partendo da questo argomento, definito nei suoi confini, il confronto si è allargato alla diversità in quanto tale e in relazione a ciascuno di noi. È stato un momento di confronto tra tutti i presenti, in cui tra interventi da parte del pubblico, accompagnati da quelli di Federica Lucà e di Diego Leone, si è cercato di compiere un’opera di divulgazione della diversità, abbattendo, per quanto difficile e in parte spaventoso, tutti quei paletti che ci imponiamo nel momento in cui ci interfacciamo con altre persone per paura di non rispecchiare ciò che ci si aspetta da noi. Abbiamo cercato possibili modalità per mettere da parte quella “desiderabilità del sociale” che ci accompagna e che spesso non ci permette di essere noi stessi al 100% chiedendoci cosa rendesse diverso ciascuno e ciascuna di noi, cercando di mettere a nudo le nostre vulnerabilità. Paragonerei questo confronto a una sorta di viaggio introspettivo che, seppur breve e limitato nel tempo, penso abbia lasciato a tutti qualcosa su cui riflettere e lavorare, innanzitutto per noi stessi e per la nostra persona interiore. Credo infatti che ognuno di noi senta, almeno ogni tanto, di essere diverso, e per questo sbagliato, magari perché non riesce a incontrare gli standard imposti dalla comunità o perché sente di non stare al passo con la società della performatività in cui viviamo. Qualsiasi sia il motivo, queste pressioni sono fonte di preoccupazione e, come detto, di mimetizzazione, almeno parziale, del proprio sé con le aspettative altrui, ma è fondamentale ricordarsi, in questi momenti, come, a livello individuale, ognuno abbia la propria diversità, e, allo stesso tempo, a livello sovradimensionale, siamo tutti diversi in modo diverso. Per quanto possa sembrare banale o frutto di riflessioni già sentite e risentite, in realtà penso che questo sia uno dei principali concetti da tenere sempre a mente, soprattutto nel momento in cui la desiderabilità del sociale ci blocca dal presentarci come siamo realmente. Difatti, come concluso durante la serata di ieri, poche cose sono in grado di donare serenità e tranquillità tanto quanto l’essere fedeli al proprio io e alle proprie “diversità”.
Livia Iacono
Durante la sera del 13 novembre alla Biblioteca Ambrosiana è stato presentato il libro “La mia vita in musica” con l’autore e Maestro Antonio Pappano. Direttore d’orchestra di origini italiane, cresciuto tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti, Antonio Pappano ha recentemente pubblicato la sua autobiografia in cui racconta non solo di come abbia musicato per tutta la sua vita, ma di come abbia voluto rendere musica ogni singolo istante della sua esistenza, con slancio, fame ed energia. Il calore del moderatore e di un pubblico emozionato, e l’affabilità e simpatia dell’ospite, hanno colmato l’atmosfera di risate informali, momenti di canto e condivisione di ricordi. Il libro è stato presentato come una lettura intrigante anche per chi non è appassionato di musica, in quanto tra le pagine si profila un personaggio interessante e sfaccettato: un uomo, che prima di rivestire il virtuoso compito di dirigere un’orchestra, è un profondissimo e umile amante e profeta della musica in quanto sapere. Si è trattata di un’ora piacevole in cui il Maestro Pappano ha svelato la vera essenza e i misteri che si celano dietro questo mestiere, lasciando il pubblico con consigli importanti che possono essere calati nella vita di ogni giorno: la curiosità è il più grande motore dell’animo umano, ciò che spinge a non essere mai sazi di sapere, ad ampliare i propri repertori mentali; ha sottolineato come la partecipazione e la condivisione interpersonale siano elementi di arricchimento e bisogno quotidiano.
Più tardi, i protagonisti dell’evento inaugurale si sono trovati di fronte a una sala colma di gente al Teatro dal Verme per discutere del tema di questa tredicesima edizione di BookCity, Guerra e Pace. Il fragore e lo strazio che sgorgano dai versi del IV libro dell’Iliade hanno dato il via alla serata. È salito poi sul palco il professore Piergaetano Marchetti che ha raccontato di come BookCity, da associazione, stia per trasformarsi in fondazione, un salto non solo legale ma simbolico di come questa iniziativa sia un elemento ormai strutturale ed istituzionale della città di Milano, che in 13 anni ha visto uno sviluppo quantitativo e soprattutto qualitativo: fedele alla medesima intuizione fin dalla nascita, BookCity Milano è cresciuta e si è espansa in ogni quartiere della città. L’emozione si è poi andata a intensificare con il conferimento del Sigillo della città da parte del Sindaco Giuseppe Sala a Edith Bruck e Claudio Magris. La prima, scrittrice sopravvissuta alla Shoah, ha trasformato la propria sopravvivenza in arte, poesia, racconto, professando una letteratura della militanza dell’inutilità dell’odio. Claudio Magris è invece conosciuto come uno tra i più grandi intellettuali del nostro Paese; in un mondo sempre più difficile da comprendere, racconta come siano i confini invisibili la causa dei conflitti concreti e sanguinosi; in quest’ottica il libro e la lettura possono essere mezzi potenti per allenare all’apertura e al confronto. L’evento ha permesso di riflettere sull’importanza di trattare la tematica bellica a livello culturale ed editoriale: qualsiasi guerra riguarda ognuno di noi e, per evitare che la pace si riduca a una parola utopica, è fondamentale ricordare, comunicare e sperare, perché solo con la memoria, l’ascolto e il senso del dovere è possibile contribuire positivamente, anche solo con una piccola goccia di bene, a rischiarare questo mare nero che dilaga ovunque.
Anna Consoli